IL DIRITTO ALLA FELICITA’ IN FAMIGLIA. Violenza e legalità: tra regole e valori

Buonasera e grazie per l’invito cui ho aderito per l’amicizia che mi lega a Renata Melissari, cui non si può dire di no, su un tema con cui purtroppo negli anni ho imparato a confrontarmi nell’esperienza concreta della vita, dove la professione,che pure può aiutare, urta con la rigidità della norma,che quasi mai consente di dare risposte esaustive.

Cioè sempre più spesso su questo argomento, che è da leggere soprattutto al femminile, si evidenzia il fallimento dell’operatore chiamato a dare risposte di giustizia.

E allora provocatoriamente, almeno per me, ho voluto titolare il mio contributo al Vostro incontro il Diritto alla felicità in famiglia, per provare a leggere la violenza tra le mura domestiche (è questa la sottolineatura che sottopongo alle vostre ipotesi di lavoro), partendo proprio dal luogo in cui ognuno di noi ripone le miglior speranze e investe le maggiori risorse.

Di fronte alla continua contrazione e alla crisi della famiglia, le pronunce più interessanti della Suprema Corte degli ultimi dieci anni, sottolineano il valore del nucleo familiare inteso come…luogo di incontro e di vita comune dei suo membri, tra i quali si stabiliscono relazioni di affetto e di solidarietà riferibili a ciascuno di essi(Cass. 10.5.2005 n. 9801)…

Si assiste e gli esempi sono numerosi a una sorta di “umanizzazione” potremmo dire così – della legge. Molti provvedimenti contengono riferimenti o termini come habitat, residenza emotiva, vicinanza abituale,amministratore di sostegno …,che richiamano un’esigenza di stabilità e una ricerca di serenità. Non stupisce allora il titolo del mio intervento Il diritto alla felicità in famiglia.

Sempre di più il diritto alla felicità che nella nostra costituzione(a differenza di quella americana) non è previsto esplicitamente, si evince da tutta una serie di concretizzazioni del diritto alla salute, alla istruzione, alla famiglia, all’assistenza…riferiti ai singoli componenti il nucleo familiare.

Anche la legge 54/2006 dopo un anno di sperimentazione sull’affidamento condiviso, con alterni risultati, vorrebbe consentire di raggiungere serenità di vita per il minore.

Ma la famiglia può diventare scenario di violenze e maltrattatamenti, che oltre a determinare inosservanza dei diritti e inadempienze -di obblighi, comporta la lesione dei diritti personalissimi (onore, libertà fisica, morale o sessuale) e segna in maniera indelebile la Persona ( minore o maggiore che sia).

La cronaca con una cadenza quasi quotidiana (nei mesi scorsi prima del sisma in Abruzzo con una cadenza quasi ossessiva), ci riporta casi di violenza familiari. Si pensi da ultimo alla morte di Lisa Molino di appena anni 22, uccisa dal marito perché ha deciso di lasciarlo, ma anche a Desirèe di 14 anni (Cascina di Brescia , a ..)

Mentre parlo ho davanti agli occhi volti di donne,di bambine che negli anni ho incontrato e purtroppo continuo ad incontrare e penso che chi esercita la professione e si occupa di famiglia, da operatore non solo del diritto, può raccontare e aggiungere un contributo del tutto personale e prezioso, perché ci consente di crescere nella conoscenza.

Sono infatti convinta che occorre continuare a parlare del fenomeno,ad ogni livello, perché la donna non si senta mai sola, ripiegata su se’ stessa, vinta.

Una delle ultime immagini che la televisione ci offre sull’argomento, rappresenta una donna mentre apre la finestra e dice basta alla violenza è ora di ricominciare a vivere …aggiungerei per provare a tornare ad essere felice..

. . .

Da quando nel 1997 il Dipartimento delle Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri ha chiesto al Ministero dei Lavori pubblici e alla Unione europea ed ha ottenuto che prima in cinque e poi in otto città Urban(tra cui Reggio Calabria), venisse finanziato per la prima volta un progetto, per conoscere la percezione e la consistenza della violenza contro le donne nella popolazione locale e il senso della sicurezza, partendo dall’ottica di genere ,per costruire qualità umana e sociale nel territorio, sono stati fatti alcuni passi avanti con ricadute sociali sul territorio di tutto rispetto(penso che la Dott. Rosato ci dirà).

Mi sono convinta però che oggi stiamo attraversando un momento ancora più delicato, direi un’ altra fase in cui la donna si confronta con la violenza.

Lo scarso valore riconosciuto alla vita umana, la riemersione di integralismi mascherati da convinzioni religiose, pensiamo a Desirèe che ha subito la bestialità fisica dei suoi aggressori, alla ragazza marocchina che il padre ha ucciso perchè non voleva sposare un connazionale, più in generale a tutti quei casi di violenza,di stupro, che non finiscono sui giornali,o che vengono alla luce dopo anni di sevizie,quando la persona è psicologicamente e fisicamente segnata; le poche risposte serie di accompagnamento della persona ferita, soprattutto la disomogeneità e la frammentarietà nei progetti di accompagnamento della persona ferita, potrebbero portare quella donna che sulla sua pelle ha ripreso ad avere fiducia, per usare l’immagine di prima, ad aprire la finestra, potrebbero portarla di nuovo a richiuderla, per non riaprirla più.

La violenza familiare, quella che avviene tra le mura domestiche, imposta da un membro della famiglia, subita con paura e timore dalla bambina, dalla donna sposata o convivente, continua ad essere la meno denunciata, anche se le studiose del fenomeno hanno rilevato un significativo aumento intorno agli anni novanta, a seguito della entrata in vigore della legge contro la violenza sessuale (febbraio 1997).

Nel contributo dato al lavoro di rete degli anni 2000, come esperta su tematiche familiari, incaricata dal Sindaco Falcomatà per la nostra città, scrivevo esaminando i risultati della indagine che avevamo portato avanti con le altre città Urban…come la scelta di tacere della donna nasce dalla assenza di una tutela effettiva, dal timore di dure ritorsioni da parte del coniuge più forte, più spesso dalla paura che si diffonda discredito sulla famiglia allargata e su quella di origine nella pubblica opinione. A questi fattori si aggiungono l’assenza di autosufficienza economica e l’insufficienza di strutture idonee ad accogliere la donna (sola o insieme ai figli) per fornirle le prime cure…

Sicuramente in questo senso alcuni passi avanti sono stati fatti, come sentiremo, ma il sentimento di insicurezza che spinge al silenzio, permane.

E che non si tratti di fantasie, né di esagerazioni relative a situazioni conflittuali in famiglia, è dimostrato dal fatto che nessuno di noi, operatori del diritto,né magistrato, né tantomeno avvocato, ci sentiamo di rispondere alla richiesta di protezione avanzata dalle clienti espressa così:.. ma e se mi picchia diventa violento, fa una scenata,ad es. ricevendo l’atto di separazione.. oggi ci sentiamo di rispondere ….Non si preoccupi, non succederà niente… come a volte facevamo (facevo) alcuni anni fa. Anzi invitiamo la cliente a prendere alcune precauzioni: evitare di restare sola in casa, rivolgersi a un pronto soccorso per un referto immediato,che fissi le tracce della violenza fisica, o a un centro antiviolenza per un consiglio ed eventuale accoglienza, avere un cellulare, un telefono a portata di mano per chiamare il pronto intervento.

… Accanto a questi suggerimenti che nascono dalla ragionevolezza e dalla non” banalizzazione” della violenza ,occorre ricordare però che spesso noi donne non conosciamo gli strumenti di protezione che il legislatore ha voluto inserire per esempio già dal 2001,nella vita della famiglia. Alludo agli ordini di protezione contro gli abusi familiari, previsti dalla legge n.154 del 2001 che possono essere richiesti, dalla parte maltrattata, di fatto ancora oggi poco conosciuti,o disattesi.

Non sono in grado di riferire sulle applicazioni che si sono fatte in altre regioni di Italia: è certo che a Reggio Calabria i nostri giudici cominciano ad applicarli se richiesti. In realtà nella maggior parte dei casi anche noi avvocati li conosciamo poco, difficilmente ne chiediamo l’applicazione, preferendo avviare il giudizio di separazione. Eppure l’ordine di protezione civile nel contesto familiare,(art.342 bis c.c.) nasce per allontanare il soggetto maltrattante dal nucleo (sia esso marito o parente o convivente) che con la propria condotta arreca grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge, o convivente. Importante strumento che in costanza di matrimonio, consente al soggetto che prima della legge 154, per sottrarsi alla violenza era costretto ad abbandonare il domicilio coniugale, di rimanere nelle proprie mura, e di ottenere dal magistrato un provvedimento che impedisca al maltrattante di avvicinarsi i luoghi abitualmente frequentati dall’istante, al luogo di lavoro, ai luoghi dell’istruzione,alla scuola dei figli, al domicilio della famiglia di origine, dei prossimi congiunti,cioè a quella rete di protezione naturale che può essere una risorsa per la donna e per i figli.

Mentre però ancora si stenta a fare decollare questi strumenti di tutela il nostro legislatore individua nuove tipologie, tenendo conto della complessità del fenomeno e della a volte raffinata violenza perpetrata dal più forte a danno del più debole all’interno del nucleo familiare. Il riferimento è evidente: parliamo di mobbing familiare e dal mese di marzo 2009 esiste una nuova fattispecie di reato che è lo stalking.

Solo qualche precisazione può farsi sul fenomeno, allo stato oggetto di studio, ed appare sicuramente opportuna, mentre sarebbe presuntuoso da parte mia pensare di trattare l’argomento in maniera esauriente. Tutti conoscono il mobbing che nasce e si sviluppa nell’ambiente di lavoro, che produce effetti devastanti, costituito da comportamenti indesiderati, che hanno lo scopo di violare la dignità di una persona o di creare un clima ostile, umiliante degradante, sui quali le direttive europee hanno già avuto modo di pronunziarsi, non tutti invece sono a conoscenza che il 21 febbraio del 2000 la C.A. di Torino ha segnato con una pronunzia ormai storica ,l’entrata del mobbing in famiglia. Si trattava di un comportamento tenuto in pubblico da un coniuge ,offensivo ed ingiurioso nei confronti dell’altro, sia in violazione delle regole di riservatezza, che dei doveri di fedeltà, correttezza e rispetto, derivanti dal matrimonio, comportamento -si legge nella sentenza –reso ancor più grave dalle insistenti pressioni con cui un coniuge, invita reiteratamente l’altro ad andarsene da casa. Nel caso di specie il marito aveva convinto la moglie di essere totalmente incapace ,e generato uno stato di ansia per cui la stessa aveva interrotto la gravidanza della creatura concepita ,ritenendosi inidonea ad educarla, una volta che fosse nata.

Dunque non solo botte, ma atti che ledono la libertà dell’altro,che provocano ansia ,una sensazione di angoscia nella vittima, urla, strattonamenti, distruzione di oggetti, violenza psicologica,( per es. ricatti,..Ti ridurrò sul lastrico minacce, svalutazioni in pubblico,:…Sei una gallina; rifiuto continuo dell’altro, crudeltà ,.Ti impedirò di vedere tuo figlio… battutine) non ultima la violenza economica: un insieme di atti destinati a creare dipendenza nel partner. Non concessione della carta di credito, impossibilità di aprire un conto corrente,tirchieria.

Esiste poi il mobbing genitoriale esercitato dai genitori nei confronti dei figli che si esprime in una serie di comportamenti inadempienti agli obblighi di cura, di educazione, di violazione sistematica del diritto di visita, ma anche farli assistere a violenze fisiche o alla denigrazione costante e alla delegittimazione dell’autorità paterna o materna, sino a farlo diventare (mobbing strumentale) lo strumento incolpevole e inconsapevole, per esercitare pressioni sull’altro coniuge, renderlo insicuro inventando disagi psicologici,i o accuse di abuso fisico e o psichico.

Di queste fattispecie, caratterizzate dalla ripetitività e dalla unilateralità, ancora il diritto non ne tiene conto in maniera autonoma predisponendo una tutela appropriata nelle pronunce, limitandosi nella separazione a farli confluire nella pronuncia di addebito.

Anche la fattispecie dello stalker, potremmo dire dell’innamorato respinto o dell’ex coniuge, può scatenare forme di violenza, pedinamenti, sms, email, telefonate, appostamenti, apparizioni improvvise, ma anche molto altro(Abbandono di animali morti sull’uscio…): tutti caratterizzati dalla voluta intrusione nella vita privata della vittima, sino generare ansia e senso di mancanza di libertà.

Sono queste ipotesi di violenza nuove, direi più raffinate, ma non per questo meno gravi, opposte ai valori quali libertà, lealtà,solidarietà, correttezza,serenità in famiglia .

Le pronunce,non molte in verità, che ci sono state sino ad oggi anno un denominatore comune: tutte considerano comportamenti violenti quelli che toccano i diritti fondamentali della persona, quali l’incolumità fisica ,morale ,sociale e la dignità dell’altro coniuge, superando così la soglia definita minimale rispetto della personalità del patner e dunque non giustificabili neanche come atti di reazione ,o di ritorsione .

Ho voluto ieri confrontarmi con una ragazza su questo tema, le ho chiesto quali fra le situazioni che vive una donna, una sua coetanea,che subisce violenza lei vede maggiori difficoltà. Questa ragazza che si chiama Valeria mi ha risposto :il dopo.

Ecco credo che lo snodo fondamentale del nostro confronto di stasera sia proprio qui: pensare che risolveremo il problema della violenza mi pare impossibile, ma chiediamoci una volta che la donna subisce violenza, quale essa sia, il suo dopo , il suo futuro come lo percepirà?

Le interviste che spesso leggiamo, che avevamo raccolto nel testo il filo e il Minotauro, ci raccontano una donna che si definisce un punto interrogativo. Niente è più chiaro per lei,spesso non riesce ad intravedere una fine a un periodo di turbamento e di incertezza, in cui a volte l’istinto di conservazione è l’inizio di una lenta e faticosa risalita.

Credo che occorra ripensare una strategia di aiuto, in cui si vigili attentamente sulla realtà, per creare un senso di comunità e appartenenza attorno alla donna, in un clima di fiducia al fine di ridurre le situazioni di disagio attraverso la promozione della figura femminile, nel suo ruolo di madre,moglie e donna che lavora, ruoli interdipendenti.

In questo senso l’opera delle associazioni culturali, come la vostra che opera nella nostra città è meritoria ,anche se andrà meglio coordinata e integrata anche dai rapporti con le istituzioni.

Ciò che occorre non dimenticare mai è la chiave dell’ascolto, della vicinanza ,a volte una parola, un sorriso, l’asciugare una lacrima può servire a trovare insieme la chiave giusta per ricominciare.

Scarica il PDF